Continuo a riflettere sull’autovalutazione che Eugenio fa al suo direttore spirituale entrando in Seminario. Oggi trovo più rivelatore del testo che egli presenta effettivamente, le righe cancellate nella brutta copia del documento (qui di seguito sottolineate)
Ho avuto sempre una franchezza piuttosto pronunziata che mi ha fatto respingere qualunque specie di elogio adulatorio che poteva mirare in qualche modo a velare la mia sincerità . E nel mondo che frequentavo ci s’era abituati a questa mia maniera di comportarmi.
Poiché l’esperienza mi ha dato prove che non mi sbaglio affatto nei giudizi che do, ho bisogno di stare bene in guardia per non pronunciarmi senza necessità .
Non mi sono adattato mai a spiegare le azioni altrui ricorrendo alle loro supposte intenzioni. L’esperienza mi dice che un modo sicuro di sbagliarsi è supporre buone intenzioni in chi agisce male; preferisco non dare alcun giudizio, cioè non accettare le conseguenze che la mia mente vorrebbe cavare dalle apparenze. Han notato fin dalla mia infanzia che io coglievo facilmente certe circostanze minute che sfuggono a tanti che vedono senza osservare; e grazie a queste osservazioni quasi involontarie sono riuscito a non sbagliarmi sul carattere, i gusti, le disposizioni, la sincerità di coloro con cui si vive.
Autoritratto di Eugenio per il suo direttore spirituale, in 1808, E.O. XIV n. 30
La qualità di dare rapidi giudizi emerge chiaramente in molti dei suoi scritti, lungo tutta la sua vita, in particolare se le azioni o gli atteggiamenti delle persone non erano concordi con i valori e gli ideali che Eugenio si sarebbe aspettato dal loro stato di vita. Questa franchezza causò a Eugenio molti nemici, particolarmente a Marsiglia dov’era vicario generale di suo zio e doveva fare il “lavoro sporco†necessario a risolvere i problemi in Diocesi o quelli con le autorità civili.