Con l’arrivo dei primi tre compagni, il 25 gennaio 1816 rimane, per i Missionari, il primo giorno di vita in comunità . Eugenio aveva comprato una parte del Convento delle Carmelitane; si era messo d’accordo con la vecchia proprietaria, la signora Gontier, che lei avrebbe potuto continuare a utilizzare la costruzione per il suo collegio di ragazze. Nelle sue memorie Eugenio ci dice che
…passi per questo se non ci avesse strettamente sequestrati nelle stanze che ci aveva ceduto; ma per arrivare agli appartamenti nella parte alta della casa, bisognava passare da una piccola scala ch comunica all’esterno.
Ci furono molte difficoltà per poterci vivere e così due missionari dormivano in una stanza – diventata la biblioteca – e io dormivo in questo piccolo buco che serve da passaggio per arrivarci; e poiché non avevamo molti mobili in questo inizio, mettemmo una lampada proprio sulla soglia della porta di comunicazione, lampada che così serviva a tre di noi quando dovevamo andare a dormire.
Il refettorio, sedicente provvisorio, per molto tempo, rimase con pochi mobili; mettemmo una tavola su due botti che così divennero i piedi della nostra tavola. Il cammino, dove bolliva la nostra minestra, faceva talmente fumo da oscurare perfino il giorno in questa tana dove mangiavamo con molto appetito la piccola porzione che spettava a ciascuno. E tutto questo ci andava meglio – per le disposizioni che il buon Dio aveva messo nel nostro cuore – di tutti i buonissimi pranzi che mia madre avrebbe voluto prepararci a casa sua.
Dio ricompensa i suoi generosi apostoli come è abituato a fare nei confronti di coloro che abbandonano tutto per il suo servizio. Spandeva nelle loro anime la sovrabbondanza di gioie spirituali e questa pace che supera ogni sentimento… Non avevamo perduto nulla della nostra gioia, anzi; siccome questo modo di vivere faceva un contrasto molto evidente con quello che avevamo appena lasciato, ci capitava spesso di riderne di gusto.
Citazione delle “Mémoires†in RAMBERT, La vie de Monseigneur Charles-Joseph-Eugène de Mazenod, I, p. 177